Il futuro della psicoterapia: trend e prospettive

psicoterapia seduta singola

In poche sedute si ottengono la maggior parte dei risultati.

Quali sono i trend mondiali che influenzano e influenzeranno la sanità e la psicoterapia nei prossimi anni? Oggi cercheremo di vederne alcuni.

Infatti, dobbiamo tener presente che la richiesta in sanità (la domanda) è variata considerevolmente negli ultimi anni, e i servizi (l’offerta) si sono dovuti adeguare di conseguenza – o avrebbero dovuto farlo da tempo.

La psicoterapia non è esente da questo discorso – ed è una delle ragioni che ci ha spinto a parlare di Terapia a Seduta Singola.

Oggi cercherò di dare una sintetica panoramica di alcune ragioni che possono farci comprendere il contesto attuale della sanità – e nello specifico della psicoterapia – per gettare ponti verso il futuro e adeguare la propria pratica professionale di conseguenza.

Naturalmente non è scopo di questo articolo fare un’analisi approfondita e completa, che richiederebbe molto più di qualche pagina. Il suo scopo è giusto quello di attirare l’attenzione su alcuni punti interessanti e di capire le implicazioni per la Terapia a Seduta Singola.

 

La modernità è cambiata

Negli ultimi decenni Zygmunt Bauman (2000) ci ha introdotto al concetto di modernità liquida. Senza pretese di esaustività, limitiamoci a dire che ci troviamo in un’epoca con scarsi punti saldi: crisi, cambiamento e flessibilità sono le parole con cui dobbiamo confrontarci costantemente.

Questo vale tanto a livello individuale, quanto a livello macro-sociale, e va dalla vita di tutti i giorni al modo di concepire le attività professionali. La crisi stessa ne è un esempio (Bauman & Bordoni, 2014), che non è più mera crisi economica, ma crisi sociale, statale, valoriale – anzi, la crisi economica è solo una delle tante forme di crisi, e non è certo stata la prima.

E tra queste si innesta anche una crisi delle professioni, che cambiano sia nel modo in cui le persone (clienti o pazienti che siano) usufruiscono di diversi servizi, sia nel modo in cui i professionisti stessi devono, di conseguenza, cambiare.

In realtà il processo è probabilmente più circolare: i servizi professionali cambiano perché cambiano gli approcci dei clienti, cambiati dal cambiamento dei servizi… E sicuramente è anche più sistemico, non limitato a servizi e clienti. Ma, a prescindere da questo, qui mi interessa mettere l’accento su un punto essenziale: la necessità di adattamento.

 

Le persone sono cambiate

Consumatori, clienti, utenti, pazienti… Possiamo chiamarle come vogliamo – e dovremmo stare attenti al cambiamento dei termini usati per designarle – ma ciò che mi interessa è porre l’attenzione su un dettaglio: ciò che è cambiato è il loro modo di vedere, conoscere e interagire con la realtà esterna.

In termini operativi, di nuovo, questo significa anche che è cambiato (e probabilmente cambia sempre più velocemente) il loro modo di relazionarsi ai professionisti e di concepire e utilizzarne i servizi. Ad esempio, oggi più che mai, le relazioni con la persona-cliente-paziente sono un elemento imprescindibile di qualunque attività, o modello di business (Osterwalder et al., 2010, 2014; Clark et al., 2012).

E tra queste, ovviamente, sono comprese anche le attività sanitarie.

 

I nuovi trend sanitari

La PricewaterhouseCoopers (PwC) è una delle 4 più grandi aziende di revisione di bilancio del mondo, e a fine dello scorso anno ha tracciato i trend della sanità previsti per il 2016 (PwC, 2015).

Benché riguardanti il contesto statunitense chiunque può riscontrare facilmente dei parallelismi con gli altri paesi occidentali, e alcuni trend sono decisamente in linea con quelli analizzati nei contesti europei e italiani (IlSole24Ore Sanità, 2012).

In altre parole, con le dovute proporzioni, non si tratta di chiedersi se certi numeri verranno raggiunti anche in Italia, ma piuttosto quando questo avverrà.

Da notare che parlo di “raggiungimento dei numeri”. Pur tenendo conto delle dovute differenze di contesto culturale, sociale e amministrativo, non prendo nemmeno in considerazione la possibilità che certi trend (perlomeno quelli che riporto di seguito) non possano svilupparsi, o non siano già in sviluppo, anche qui da noi.

Vediamo i principali.

 

Il paziente consapevole

Un collega era solito dire che un tempo c’era Dio, e subito dopo il dottore. “L’ha detto il dottore” era il rigoroso richiamo a un’autorità incontestabile.

Ormai non è più così da tempo (Fabris, 2003), complice, tra gli altri fattori, una diffusione dell’informazione che rende il cittadino-cliente-paziente un protagonista più attivo, anche nella scelta delle cure.

Sebbene questo non significhi che egli sia sempre in grado di identificare le cure “più adatte” alla sua situazione, o anche semplicemente quelle “più valide”, non si può semplicemente chiudere questo paragrafo con l’affermazione che “la persona comunque non ne sa quanto uno specialista” ed escludere la persona dal processo decisionale. Per quanto vera, tale affermazione suona più come una lamentela priva di soluzioni pragmatiche, e pensare di poter operare con una persona acritica è uno sbaglio che, tra le altre cose, mette a rischio la propria stabilità professionale, cioè la possibilità di continuare ad avere un’attività con basi solide ed economicamente sostenibile.

Prima di tutto, bisogna prendere consapevolezza della consapevolezza: quella del paziente. Il quale, come vedremo, è oggi un attore sempre più attivo, protagonista del proprio benessere. Questo influisce sul modo in cui agirà rispetto a come prendersi cura di sé, al punto che occorre vedere il processo di cura come una partnership (IBM, 2008) che, tra le altre cose, spezza definitivamente l’idea di una rigida imposizione del proprio modello di cura sul paziente, sostituita dalla necessità di trovare la form(ul)a più adatta al/col paziente.

 

Tempi brevi e bassi costi

Ma cos’è che vuole il cliente-paziente oggi?

Dai dati emergono due trend generali di grande interesse (PwC, 2015): la volontà di risolvere i propri problemi (da difficoltà a malesseri, da disturbi a psicopatologie…) in tempi brevi e spendendo poco.

Ad esempio, secondo PwC:

  • più della metà delle persone (54%) non vuole fare lunghi spostamenti per curarsi
  • oltre i 2/3 (66%) non è disposta a impegnarsi in cure che durino a lungo
  • più di 8 persone su 10 (81%) non intendono sostenere cifre economiche elevate per prendersi cura di sé

I dati possono essere discussi in diversi modi. Ad esempio, l’ultimo non significa che le persone non siano interessate a star bene (altri trend, come vedremo, ci dicono esattamente il contrario), ma che, più probabilmente, l’offerta e l’accessibilità ad essa dà oggi la possibilità di trovare numerose e diverse forme di cure, permettendo anche di scegliere, di conseguenza, quelle più economiche.

Tra i tanti, ne è un esempio il dilagare dei portali che permettono di selezionare attività o anche singoli professionisti scegliendo, tra gli altri, criteri come il costo e il social rating (la valutazione fatta da altri consumatori).

 

Volontà di star bene

Nonostante la crisi economica, la volontà di star bene non è diminuita, anzi. Semmai è cambiato il modo in cui la persona cerca di star bene.

Ad esempio, la cura fai-da-te (do-it-yourself health care) è in rapidissimo aumento, complice l’inarrestabile evoluzione delle tecnologie digitali (IBM, 2008; IlSole24Ore, 2012; PwC, 2015). In soli due anni (2013-2015), l’uso delle app legate al benessere è raddoppiato, passando dal 16 al 32% (PwC, 2015). Da notare come questo dato sia perfettamente in linea con i trend del voler cure rapide e a basso costo, manifestandosi nella scelta di cercare diagnosi e soluzioni online.

Di nuovo: per quanto discutibile (a volte il web, o alcune forme “alternative” di cura, sono la causa, più che la soluzione, di certi problemi) è una realtà di fatto che non accenna minimamente ad arrestarsi e che è ingenuo pensare di poter contrastare o anche solo trascurare.

Come già detto, se cambia il modo in cui la persona vuole prendersi cura di sé (e che ci si prenda cura di lei), insistere su forme di assistenza vecchie o, semplicemente, “non al passo”, significa non rispondere alla domanda in corso – o non farlo nel modo più efficace ed efficiente.

E questa domanda da un lato chiede maggior rapidità (ma non a scapito dell’efficacia) e dall’altro, mi sembra, apre lo scenario alla possibilità di concepire diversamente il “processo di cura”. Non più un processo con un inizio, uno svolgimento e una fine rigorosamente posti sotto l’attenzione di un clinico che è presente passo per passo durante il suo intero dispiegarsi, ma l’idea che il clinico, in certi casi, possa essere in qualche modo una figura intermittente, che entra ed esce dalla vita della persona nel momento del bisogno, dandole, tra le altre cose, le competenze per gestirsi da sola in sua assenza.

In psicoterapia, ad esempio, abbiamo già accennato nello scorso articolo al concetto di terapia intermittente o terapia lungo il ciclo di vita (Cummings & Sayama, 1995).

 

Crisi (economica) della sanità

Sulla crisi economica nei sistemi sanitari ci sarebbe troppo da dire, né ritengo di avere le competenze per una disamina approfondita, per la quale rimandiamo ad altre fonti (IBM, 2008; IlSole24Ore, 2012; PwC, 2015). Alcuni punti generali, però, è bene averli in mente.

Tra questi, la difficoltà economica del sistema sanitario pubblico (che in Italia occupa il 9,1% del Pil – Meridiano Sanità, 2015) è più che nota, al punto che il principale concorrente della sanità pubblica è la sanità privata (Altroconsumo, 2012). I cittadini spesso preferiscono spendere un po’ di più pur di avere cure in tempi rapidi, e addirittura in alcuni casi il costo di prestazioni private è inferiore a quelle pubbliche.

Il fatto che si sia disposti, in certe occasioni, a spendere un poco di più, non è in conflitto col trend del basso costo. Pagare meno, infatti, non significa “pagare il meno possibile”. E la scelta del cittadino molto spesso è motivata proprio dalla possibilità di avere cure in tempi brevi. Anche perché, se si riflette, una lunga lista d’attesa diviene facilmente un costo anche per il paziente.

Uno dei vantaggi riscontrati nella Terapia a Seduta Singola, ad esempio, è quello di poter offrire un servizio che, eventualmente, dia un aiuto alla persona con un solo incontro. Se ben strutturato, questo è un ottimo esempio di aiuto efficace con costi ridotti (si noti che, nel caso della libera professione, se il costo totale della cura è ridotto per il paziente – il quale paga una sola seduta – il professionista può ragionevolmente compensare l’apparente numero di sedute per singolo paziente sia adeguando gli onorari a seconda che si tratti di Sedute Singole o di terapie più lunghe, sia grazie al maggior numero di pazienti che riceve grazie all’offerta della Seduta Singola stessa).

Se tutto questo da un lato porta sempre di più i sistemi sanitari pubblici a politiche di riduzione dei costi e di implementazione di servizi low-cost (che, anche qui, non deve significare “bassa qualità”), dall’altro fa sì che gli stessi servizi privati (intesi sia in forma di enti, ospedali e, più in generale, aziende sanitarie, che in forma di liberi professionisti o piccoli gruppi professionali) debbano orientarsi in questa direzione.

 

La richiesta di sanità mentale

In termini di spese la sanità mentale non è certo una cenerentola, ma una regina sovrana e costosa.

Ad esempio, negli U.S.A. ogni anno 1 persona su 5 presenta un disturbo mentale, con costi che toccano i 440 miliardi di dollari all’anno (PwC, 2015). E in Italia, il costo è di 14 miliardi di euro l’anno (HPS, 2012).

E se aggiungiamo i costi indiretti, ancora di più la salute mentale è evidentemente un problema non trascurabile. Per esempio, il 40% delle assenze lavorative è dato da problemi di natura psichiatrica (HPS, 2012).

Oppure, in termini di “anni persi a causa di una disabilità” (years lost to disability, YLD), l’OMS stima che la depressione è al primo posto, “costando” in tutto il mondo dai 70 agli 80 milioni di anni persi: più di quanti anni farebbero perdere mal di schiena, diabete o emicranie. E in questa Top Ten rientrano anche l’alcolismo e i disturbi d’ansia, al 5° e 6° posto. (Smith, K., 2014).

Sebbene in Italia dobbiamo confrontarci con uno scenario professionale che vede un eccesso di professionisti (ad oggi circa 1/4 degli psicologi del Mondo, e 1/3 degli psicoterapeuti d’Europa, risiede in Italia), questi dati ci confermano che la richiesta di assistenza sanitaria per il benessere mentale non subirà prossimi arresti, anzi.

A ciò, va aggiunto che solo una minima parte delle persone si rivolge a uno specialista (in Italia, a seconda delle ricerche, sono massimo il 22,3%, se non solo l’8%, quindi circa 1-2 persone su 10; Fiori Nastro et al., 2013, Ambrosi, 2014), e probabilmente questo è dovuto, tra le altre cose, anche a forme di psicoterapia percepite come inadeguate, perché, riprendendo i trend che abbiamo visto sopra, sono troppo costose e/o troppo lunghe.

 

La sfida della psicoterapia

Si faccia attenzione al fatto che, dato il problema dei costi, sempre più persone faranno richiesta di cure mentali guardando al portafogli. E, ovviamente, sempre più enti.

Uno dei libri di Michael F. Hoyt (direttore capo del gruppo di ricerca sulla Terapia a Seduta Singola, TSS) che ebbe più successo analizzava, guarda caso, il rapporto tra le psicoterapie brevi e la managed care (termine americano che descrive tecniche, enti o sistemi finanziari volti alla riduzione dei costi nell’ambito della sanità; il libro è Brief Therapy and Managed Care, 1995). Benché i contesti e i tempi sono decisamente diversi, Hoyt osservò attentamente un punto comune alla sanità (mentale e non) di tutto il mondo: la necessità di interventi cost-effective (senza sacrificare la qualità, come ripeterà più volte nel testo).

E non è un caso che uno dei motivi che spinge molti enti, anche pubblici (Weir et al., 2008), a investire sulla TSS è proprio la riduzione dei costi.

Di questi benefici parleremo in un altro articolo. Qui, ora, mi preme sottolineare un fatto lapalissiano: anche il terapeuta libero professionista (che sia psicologo, psicoterapeuta, psichiatra o altro) è soggetto a tutti questi cambiamenti. Di conseguenza dev’essere in grado di sapersi adattare egli stesso, senza rinunciare al valore di ciò che offre. Altrimenti, il danno per sé e per i pazienti, sarà inevitabile.

Ne è un esempio lampante (ma non è l’unico) la psicoanalisi, i cui lunghi tempi di cura e alti costi richiesti sono stati in forte contrasto con i trend a cui ho accennato, auto-arrecandosi la responsabilità di essere “sempre più isolata e costretta a giocare un sempre più minimo ruolo nello spettro dei trattamenti e, non da ultimo, nei training medici e psichiatrici” (De Schill & Lebovici, 1999, grassetto nostro). E infatti anche in questo campo si richiede un adattamento che tenga conto dei cambiamenti socio-economici (Richards, 2015).

E se già molte assicurazioni sanitarie non coprono i costi di terapie lunghe (American Psychological Association, online), gli stessi cittadini sono sempre meno interessati ad esse e sempre più consapevoli della possibilità di terapie più brevi e ugualmente efficaci.

La psicoterapia, ma prim’ancora gli psicoterapeuti, dovranno tenere conto di questi cambiamenti. Anzi, avrebbero dovuto farlo già farlo da tempo.

 

Il posto della Terapia a Seduta Singola

Tra le premesse che hanno portato l’Italian Center for Single Session Therapy a divulgare la Terapia a Seduta Singola ci sono state ovviamente anche tutte queste considerazioni.

Nel nostro lavoro non c’è solo un’attenzione alla ricerca, alla clinica, e in generale agli studi che ci consentono di capire come trarre il massimo da ogni singola (e spesso unica) seduta, ma anche una più generale attenzione ai cambiamenti sociali della nostra epoca.

Se da un lato sosteniamo le ricerche che evidenziano l’efficacia di terapie brevi e a seduta singola (Hoyt & Talmon, 2014), dall’altro lo facciamo anche, se non soprattutto, perché riteniamo vitale saper rispondere alle esigenze e ai trend sociali e sanitari utilizzando le forme più adeguate.

Negli articoli futuri, così come già in quelli precedenti (si vedano ad esempio Dove praticare la Terapia a Seduta Singola e Consulenza psicologica a Seduta Singola), illustreremo diverse forme di applicazione di questa forma di intervento, e nei corsi di formazione in Terapia a Seduta Singola spieghiamo dettagliatamente alcuni modi di integrazione. Chi volesse già farsi un’idea, può trovare alcuni spunti anche nel nostro EBook gratuito.

Tutto questo parte da un assunto preciso: la psicoterapia è un servizio alla persona, e in quanto tale dev’essere capace di aggiornarsi e modellarsi costantemente, per rispondere ai cambiamenti e alle richieste dei cittadini moderni.

Flavio Cannistrà
Psicologo, Psicoterapeuta
Founder dell’Italian Center
for Single Session Therapy

Se vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola e approfondire il metodo, puoi leggere il nostro link (clicca qui) “Terapia a seduta singola. Principi e pratiche” o partecipare a uno dei nostri workshop (clicca qui).

 

Bibliografia

Altroconsumo. (2012). Che la salute non diventi un lusso. Cure mediche. (online).
Ambrosi, E. (2014). Disagio psichico: 17 milioni di italiani ne soffrono in silenzio. Il Fatto Quotidiano. (online).
American Psychological Association. Does your insurance cover mental health services? (online).
Bauman, Z.
(2000). Liquid Modernity. Cambridge: Polity (Tr. it. Modernità liquida. Roma-Bari: Laterza, 2002).
Bauman, Z. & Bordoni, C. (2014). State of Crisis. Cambridge: Polity. (Tr. it. Stato di crisi. Torino: Einaudi, 2015).
Clark, T., Osterwalder, A. & Pigneur, Y. (2012). Business Model You. New Jersey: Wiley (Tr. it. Business Model You. Milano: Hoepli, 2014).
Cummings, N.A. & Sayama, M. (1995). Focused Psychotherapy: A Casebook of Brief, Intermittent Psychotherapy Throughout the Life Cycle. New York: Brunner/Mazel.
De Schill, S. & Lebovici, S. (Eds). (1999). The Challenge to Psychoanalysis and Psychotherapy. London: Jessica Kingsley Publishers.
Fabris, G. (2003). Il nuovo consumatore: verso il postmoderno. Milano: Franco Angeli.
Fiori Nastro, P., Armando, M., Righetti, V., Saba, R., Dario, C., Carnevali, R., Birchwood, M., Girardi, P. (2013). Disagio mentale in un campione comunitario di giovani adulti: l’help-seeking in un modello generalista di salute mentale. Rivista di psichiatria, 48(1), 60-66.
Hoyt, M. (1995). Brief therapy and managed care. San Francisco: Jossey Bass.
Hoyt, M.F. & Talmon, M. (eds.) (2014). Capturing the Moment. Single Session Therapy and Walk-In Services. Bancyfelin, UK: Crown House.
HPS. (2012). Lievitano i casi e i costi delle malattie mentali. Aboutpharma. (online).
IBM Global Business Services (2008). La sanità e l’assistenza sanitaria nel 2015. (online).
IlSole24Ore Sanità. (2012). Il futuro del servizio sanitario in Europa e in Italia. I report di Economist e CEIS Tor Vergata. (online).
Meridiano Sanità. (2015). La sanità del futuro: Prevenzione, Innovazione e Valore. Forum Meridiano Sanità 10° edizione. (online).
Osterwalder, A. & Pigneur, Y. (2010). Business Model Generation. New Jersey: Wiley (Tr. it. Creare modelli di business. Milano: Edizioni FAG, 2012).
Osterwalder, A., Pigneur, Y., Bernarda, G. & Smith, A. (2014). Value Proposition Design. New Jersey: Wiley (Tr. it. Value Proposition Design. Milano: LSWR, 2015).
PwC. (2015). Top health industry issues of 2016. Thriving in the New Health Economy. (online).
Richards. A. (2015). Psychoanalysis in Crisis: The Danger of Ideology. Psychoanalytic Review, 102(3), 389-405. doi: 10.1521/prev.2015.102.3.389.
Smith, K. (2014). Mental health: A world of depression. Nature. (online).
Weir, S., Wills, M., Young, J. & Perlesz, A. (2008). The implementation of Single Session Work in community healt. Brunswick, Australia: The Bouverie Centre, La Trobe University.

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