L’aiuto che non aiuta: dalla resistenza al cambiamento rapido con le tecniche CBT -TEAM di David Burns

L’aiuto che non aiuta: dalla resistenza al cambiamento rapido con le tecniche CBT -TEAM di David Burns

Il 2019 sta per volgere al termine e con esso il percorso che abbiamo tracciato attraverso il nostro blog sulla Terapia a Seduta Singola

In questo anno ci siamo concentrati su alcuni temi specifici che hanno spaziato dal modo in cui implementare la TSS nei Servizi Walk–In o di pronto soccorso psicologico fino agli approcci con cui integrarla, condividendo approfondimenti teorici, casi di studio ed esperienze pratiche dal mondo.

 

Di cosa parleremo quindi oggi?

 Per concludere il percorso ancora una volta ci concentreremo su un nuovo modo di fare psicoterapia, nato dall’esigenza di superare il concetto di resistenza del paziente e intervenire in maniera rapida sui problemi complessi e invalidanti come l’ansia, la depressione e le dipendenze.

Questa nuova modalità di fare terapia integra il metodo della TSS con alcune tecniche di terapia cognitivo comportamentale (CBT) sviluppate dallo psichiatra David Burns che ha definito CBT – TEAM.

Chi è David Burns?

David Burns è uno psichiatra che dopo essersi occupato di ricerca in psichiatria biologica, si è dedicato allo studio e allo sviluppo della terapia cognitivo comportamentale (CBT).

L’interesse per la CBT è nato soprattutto per gli strumenti pratici, orientati all’azione e allo sviluppo delle competenze che tale forma di terapia offre.

L’utilizzo delle tecniche gli ha permesso di aiutare in maniera rapida, “quasi magica” e senza utilizzo di farmaci pazienti che per molti anni avevano ricevuto lunghi trattamenti per problemi di depressione senza ottenere risultati. I suoi studi sono stati poi riportati nel libro Feeling Good: The New Mood Therapy pubblicato nel 1980.

 

Ma come mai Burns in un dato momento ha deciso di superare la CBT per arrivare a considerare un altro modo ancora di fare psicoterapia?

Burns ha riflettuto sul fatto che il nostro scopo come terapeuti non è altro che quello di aiutare le persone che stanno male a sentirsi meglio nel più breve tempo possibile. Ciò solitamente richiede da parte loro uno sforzo per cambiare gli schemi di pensiero disfunzionali, i comportamenti autodistruttivi e i modi autolesionistici di relazionarsi con gli altri.

 

Per aiutare le persone quindi cosa facciamo?

Se siamo dei terapeuti orientati all’azione generalmente cerchiamo di persuadere le persone a impegnarsi in qualche compito o all’utilizzo di uno strumento o una di tecnica che sappiamo possa aiutarle a modificarsi.

Ciò che accade quindi è che le persone seguono i nostri suggerimenti e i cambiamenti che ne risultano possono essere spesso anche rapidi.

 

Ma ciò accade sempre?

Beh la risposta è no!

Accade, invece, che alcuni clienti sembrano fare di tutto per minare l’aiuto che gli offriamo e possiamo tranquillamente affermare che più o meno tutti abbiamo avuto a che fare con persone, che di fronte alle nostre indicazioni hanno risposto “sì, ma…” o che abbiano costantemente dimenticato di fare i compiti di psicoterapia, lamentando di non essere compresi.

 

Tutto ciò quali conseguenze comporta?

Spesso la terapia con queste persone finisce in una situazione di stallo, il cliente abbandona senza aver risolto il suo problema e il terapeuta confuso si sente inadeguato, frustrato, persino arrabbiato, accusando molte volte il cliente di essere “resistente!”.

 

Da ciò Burns si è posto una serie di domande importanti per il terapeuta.

 Ma se il problema fosse davvero con noi?

  • E se fossimo diventati così sicuri del nostro modo di intervenire che ignoriamo gli aspetti dell’ecologia interiore dei clienti che innescano la resistenza?
  • Se scoprissimo che i modelli di pensiero negativo, i sentimenti e i comportamenti che mantengono bloccate le persone hanno vantaggi potenti e inconsci che servono a preservare la loro vita?
  • Cosa accadrebbe se la resistenza al cambiamento rivelasse qualcosa di positivo, di bello e persino di salutare su di loro?

 

Vediamo nel concreto cosa ha determinato il cambio di prospettiva di Burns sulla psicoterapia.

 La necessità di rivedere il suo modo di fare terapia è nato da un caso che Burns stava seguendo con una persona depressa di nome Karen.

La donna era una professionista di New York che sviluppava software e che aveva molto successo nel suo lavoro, tuttavia si lamentava costantemente della sua vita e degli uomini con cui usciva.

Burns durante la terapia le offrì molti strumenti per aiutarla a superare la depressione e migliorare le sue relazioni con gli uomini, ma lei non sembrava interessata. Quando la incoraggiava a individuare e a sfidare le distorsioni dei sui pensieri negativi o quando le mostrava come migliorare le sue relazioni, lei con rabbia insisteva che non era lei a dover cambiare, ma gli altri. Inoltre accusava il terapeuta di essere più interessato alle sue tecniche che a lei, provocandogli un’enorme frustrazione. Un giorno, provato da tale resistenza, Burns sottolineò con forza che usare gli strumenti della CBT e fare i compiti di psicoterapia tra le sessioni era obbligatorio per cambiare vita. In maniera ostile, la donna gli disse che se le avesse chiesto di fare di nuovo i compiti di psicoterapia, si sarebbe suicidata e il suo corpo sarebbe stato trovato con una copia del suo libro sul petto e una nota che diceva “è stato il mio strizzacervelli!”

Terrorizzato e imbarazzato Burns pensò che probabilmente stava spingendo troppo e che forse non aveva fornito il giusto ascolto e sostegno empatico. Dopo altri due anni, Karen si stava ancora lamentando amaramente e rifiutava i compiti, ed era ancora arrabbiata, depressa e solitaria come sempre. Alla fine, abbandonò la terapia senza alcun miglioramento reale.

 

Quali tipi di resistenza esistono?

Dal lavoro clinico Burns ha determinato che esistono due principali tipi di resistenza: la resistenza ai risultati che consiste nella paura di abbandonare i pensieri e i comportamenti disfunzionali e la resistenza al processo che riguarda la difficoltà ad applicarsi nei compiti richiesti. Rispetto ai problemi più comuni presentati in terapia quali la depressione, l’ansia, i problemi di relazione e le abitudini/dipendenze, Burns ha identificato otto tipi di resistenza (clicca qui).

 Depressione:

  • la resistenza agli esiti per la depressione comporta quasi sempre una non accettazione da parte del cliente di un qualche problema interno o circostanza esterna che mantiene la depressione attiva;
  • con la resistenza al processo i clienti potrebbero voler recuperare, ma non vogliono impegnarsi in ciò che è richiesto per farlo come i compiti di psicoterapia tra le sessioni. Forse ciò li costringerebbe a concentrarsi su aspetti difficili della loro vita.

Ansia:

  • la resistenza al risultato per l’ansia comporta sempre il pensiero magico. La maggior parte dei clienti ansiosi crede segretamente che qualcosa di terribile di cui sono ansiosi accadrà se si riprendono. Quindi, anche se chiedono aiuto, hanno paura di lasciar andare l’ansia;
  • la resistenza al processo per l’ansia significa che un cliente potrebbe voler recuperare, ma non vuole impegnarsi in terapia perché implicherebbe affrontare le sue paure attraverso tecniche di esposizione, il che è incredibilmente spaventoso.

Conflitti di relazione:

  • la resistenza agli esiti in questo caso significa che il cliente non vuole davvero avvicinarsi alla persona con cui è in contrasto;
  • La resistenza al processo per un problema di relazione è diversa. Se si vuole una relazione più amorevole o soddisfacente, probabilmente bisognerà smettere di incolpare l’altra persona e cominciare a esaminare il proprio ruolo nel problema, ma ciò può essere doloroso.

Abitudini e dipendenze:

  • la resistenza ai risultati significa semplicemente che la persona non vuole rinunciare a una fonte di piacere o gratificazione immediata;
  • la resistenza al processo significa che il cliente non vuole affrontare la disciplina e la privazione che saranno necessarie per ottenere un buon risultato.

 

Che fare?

 Sulla base di questa intuizione, Burns ha deciso di apportare alcune modifiche radicali al suo modo di fare psicoterapia. Invece di usare sempre più strumenti e tecniche per aiutare i clienti a cambiare, ha deciso di concentrarsi sulle motivazioni che li spingono a non impegnarsi in attività di coping e ha messo a punto il CBT- TEAM che sta per Test, Empatia, impostazione dellAgenda (paradossale) e Metodi (clicca qui).

 

Ecco un esempio di applicazione del metodo!

In un seminario Burns trattò il caso di una donna asiatica di circa 50 anni di nome Christine. La donna era stata vittima di violenti abusi da parte dell’ex marito per trent’anni, in quanto troppo spaventata e demoralizzata per salvarsi.

Al momento della sessione, aveva divorziato da un decennio, ma era ancora gravemente depressa, ansiosa e arrabbiata nonostante avesse svolto molti anni di psicoterapia con una vasta gamma di approcci.

 Prima della sessione, Burns chiese a Christine di registrare i suoi pensieri e sentimenti negativi su un modulo chiamato Daily Mood Log (DML), uno strumento CBT che aiuta i clienti a individuare i loro pensieri e sentimenti negativi in ​​un momento specifico, ad esempio, quando sono arrabbiati.

Individuato l’evento sconvolgente Christine ha valutato tutti i suoi sentimenti negativi su una scala da 0 (per niente) a 100 (estremamente grave). Ecco l’esempio:

  • Non sono al sicuro – 100
  • Non posso fidarmi degli uomini – 95
  • Avrei dovuto fermare l’abuso – 90
  • Mi sono vittimizzato – 100
  • Devo essere difettoso – 90
  • Ho vissuto una bugia e non avrei dovuto – 100

 Burns iniziò la sessione:

  • ascoltando compassionevolmente la donna ed empatizzando con il suo dolore;
  • impostando la paradoxical agenda setting (PAS) che con l’uso di specifiche tecniche cerca di portare la resistenza dei processi e degli esiti alla consapevolezza e lavorare per ridurli.

 La prima manovra fu quella di porre la seguente domanda “Se uscissi oggi alla fine della sessione sentendoti come se fosse accaduto qualcosa di miracoloso, che tipo di miracolo vorresti accadesse?”

 E poi “Immaginiamo che ci sia un pulsante magico proprio qui sulla scrivania. Se lo premi, sarai immediatamente guarita senza alcuno sforzo e tutti i tuoi pensieri e sentimenti negativi scompariranno completamente. Sarai inondata di sentimenti di gioia. Vuoi premere quel pulsante? “

 Alla riposta affermativa della paziente Burns spiegò che non aveva un pulsante magico, ma alcune tecniche piuttosto potenti che potevano usare. E sebbene non potesse promettere alcun risultato o miracolo specifico, c’era una forte possibilità di migliorare. Allo stesso tempo però disse di essere riluttante a usare quelle tecniche per via dei suoi pensieri negativi, che potevano comunque rivelare alcune cose positive su di lei.

 Successivamente per ogni pensiero negativo suggerì di fare un elenco di aspetti positivi. Questo passaggio si chiama riqualificazione positiva ed è un modo delicato e non minaccioso di portare la resistenza ai risultati alla consapevolezza.

Ad esempio, Burns la indusse a riflettere sul ruolo dell’ansia attraverso le seguenti manovre: “Supponiamo che tu prema il pulsante magico e alla fine di questa sessione esca sentendoti completamente libera dall’ansia e al sicuro. Lo vuoi davvero? Riesci a pensare ad alcuni motivi per cui potresti non volerlo fare? Ci sono dei benefici per la tua intensa ansia? “

Dal momento che all’inizio della sessione, Christine aveva raccontato di un flirt con un uomo, Burns dopo averle chiesto di premere il pulsante magico, la fece riflettere sul fatto che abbandonare prematuramente l’ansia le avrebbe fatto anche abbandonare le sue difese e finire in un’altra relazione violenta. Dopo un momento, lei rispose: “Quindi forse la mia ansia mi tiene vigile.”

 Burns e la donna completarono l’elenco degli aspetti positivi di tutti i pensieri negativi emergenti dal test iniziale in ​​circa 20 minuti, e concluse questa fase dicendole “Christine, forse non è una buona idea premere quel pulsante magico e far scomparire tutta questa negatività. Immaginiamo di avere un quadrante magico e di poter abbassare i tuoi sentimenti negativi a un livello più sano, invece di farli scomparire completamente. Potresti ancora avere i loro benefici, ma senza essere così totalmente sopraffatto e sconfitto”.

 Superata la resistenza il resto della sessione di due ore ha previsto un lavoro con una varietà di tecniche cognitive standard per aiutare Christine a sfidare i suoi pensieri negativi. Questa è la parte dei Metodi del CBT – TEAM.

 

Conclusioni

Per concludere dopo quanto esplorato, potremmo cominciare a vedere la resistenza da una prospettiva radicalmente diversa?

Se vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola e approfondire il metodo, puoi leggere il nostro link (clicca qui) “Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche” o partecipare a uno dei nostri workshop (clicca qui).

Angelica Giannetti
Psicologa, Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center
for Single Session Therapy

 

Bibliografia

Burns, D., (2017). When Helping Doesn’t Help Why Some Clients May Not Want to Change, from https://www.psychotherapynetworker.org/magazine/article/1076/when-helping-doesnt-help

Burns, D., (2016). Can Depression Really Be Treated in a Single, Two-Hour Therapy Session?, from https://feelinggood.com/team-vs-cbt/

 

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Angelica Giannetti